Affrontare i disturbi alimentari giovanili con l'aiuto della famiglia può essere più semplice se fatto correttamente.

Secondo un recente rapporto Eurispes, 2-3 milioni di giovani italiani soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Ciò significa che altrettanti genitori vivono situazioni difficili, e nella maggior parte dei casi mamma e papà non sanno come affrontare il problema. Tra le varie soluzioni c'è anche un metodo psicoterapeutico studiato appositamente: il metodo Maudsley. Vediamo di cosa si tratta.
Le reazioni di mamma e papà
Relazionarsi e aiutare un figlio con disturbi alimentari non è affatto semplice; in molti casi i genitori si addossano la colpa e si sentono i principali responsabili di quanto sta accadendo al ragazzo. Ma in realtà i disturbi alimentari non sono mai causati da un unico fattore quindi mamma e papà non dovrebbero colpevolizzarsi. Oltretutto si tratta di un atteggiamento controproducente perché i sensi di colpa dei familiari agiscono come fattori di mantenimento della malattia contribuendo al suo perdurare.In altre famiglie prevale il senso di negazione: i genitori si rifiutano di cogliere i segnali della malattia e intervengono solo quando è accentuata. Anche in questo caso la reazione è poco costruttiva perché il figlio si sente incompreso e ignorato da chi gli vuole bene. Inoltre più si aspetta più il percorso di guarigione si allunga e complica.
Infine ci sono famiglie che reagiscono di petto al problema, intervenendo ai primi segnali in maniera quasi aggressiva, spronando il figlio ad avere un rapporto più sano con il cibo e la sua immagine spingendolo a superare la sua malattia. Ma nemmeno così si ottengono buoni risultati.
Credits: Foto di @francycrave1 | Pixabay
Amore e ascolto
Ovviamente ogni figlio è diverso, ma di fronte ai disturbi alimentari è importante che la famiglia parli del problema, senza mai negarlo o sottovalutarlo, ma nemmeno senza farlo diventare l'unico argomento di conversazione. I genitori devono spiegare al figlio l'importanza di alimentarsi in modo corretto, lavorando sulla sua educazione al cibo, ma senza ossessionarlo e criticarlo continuamente sul suo comportamento. I pasti dovrebbero essere fin dall'infanzia del figlio, dei momenti sereni, e non momenti per litigare o rimproverare.
Una terapia mirata
Per aiutare le famiglie a gestire meglio i problemi alimentari dei figli è stato messo a punto un programma terapeutico specifico: il metodo Maudsley. Viene applicato agli adolescenti e ai ragazzi inferiori ai 18 anni che vivono in famiglia ed è progettato per intervenire in modo aggressivo fin dalle prime fasi della malattia, con il totale coinvolgimento di tutti i membri del nucleo familiare, fratelli e sorelle compresi.
In genere servono dai 9 ai 12 mesi per migliorare la situazione e aiutare il ragazzo e la famiglia a stare meglio. La terapia prevede tre fasi con sedute sia familiari sia con i singoli membri. Inizialmente si agisce sui sintomi, poi si affrontano le problematiche di fondo e la cura si sposta sulla negoziazione di nuove modalità relazionali e sull'analisi delle problematiche dell'adolescenza.
Credits: foto di edsavi30 | Pixabay