Leonor - Di Diego Galdino
CAPITOLO VII
Meg scese dal taxi, pagò
l'autista, prese le sue valigie e si diresse furibonda verso l'entrata
della casa. Tanto era arrabbiata che nemmeno si accorse della
differenza, dovuta alla nuova mano di vernice data da Giorgio
e suo padre pochi giorni prima.
Entrò in giardino sbattendo il cancello di legno con rabbia,
tanto da far tremare tutto lo steccato. Si avvicinò alla
veranda e vide Leonor tranquillamente seduta, affrettò
il passo e finalmente le fu di fronte.
"Ma che diavolo ti è saltato in mente! Ti ho aspettato
per più di quaranta minuti alla stazione pensando che arrivassi
a prendermi. A dire la verità, quando sono scesa dal treno
ero convinta di trovarti già lì ad attendermi. Alla
fine, quando ho capito che non saresti più venuta, ho addirittura
telefonato qui a casa per sapere cos'era successo, ma non rispondeva
nessuno e sapendo delle condizioni di papà ho pensato che
avesse avuto una ricaduta, che si fosse aggravato, mi sono preoccupata
da morire. Perché non hai risposto! Me lo spieghi! "
Solo allora la sua attenzione fu attirata da un particolare, che
in un primo momento in preda all'ira non aveva notato. Smise di
parlare. Leonor portava degli occhiali da sole, fatto inusuale
per chi come lei, aveva sempre odiato metterli, e poi si rese
conto che da quando era arrivata
e aveva cominciato a inveirle addosso non aveva mosso la testa
di un centimetro, continuando a guardare fisso davanti a lei,
verso il mare.
"Leonor, dimmi è successo qualcosa a nostro padre?"
Le rispose facendo no con la testa e tamponandosi il naso con
un fazzoletto. Indossava anche degli enormi guanti di lana.
"Allora, mi vuoi spiegare che cosa ti è successo?
E fammi il favore levati questi occhiali da sole. E' un anno che
non vedo i tuoi bellissimi occhi verdi, sinceramente mi aspettavo
un'accoglienza più calorosa da parte tua."
Detto questo glieli sfilò dal viso, ma arrivata all'altezza
del naso si bloccò rimanendo immobile con le mani che tenevano
gli occhiali sospesi a mezz'aria. I suoi occhi struccati e rossi
per il pianto lasciarono Meg sconcertata. Finì di levarle
gli occhiali e, dopo averli poggiati delicatamente per terra prese
le mani di sua sorella. Si accorse così che stava tremando.
"Stai morendo dal freddo. Ma da quant'è che sei qui
seduta? Rispondimi Leonor! Ti preg .parlami.
Finalmente Leonor girò la testa verso di lei e le fece
un sorriso ma fu un sorriso pieno di tristezza.
"Dalle sei di stamattina. Da quando sono tornata dalla stazione."
Meg non riuscì a comprendere in pieno il senso di quella
risposta, ma una cosa la lasciò perplessa, se suo padre
era ormai fuori pericolo e stava bene, perché Leonor continuava
ad essere così tremendamente disperata per l'inaspettata
partenza di Giorgio? Un dubbio cominciò a farsi strada
nella sua mente. E se ne fosse innamorata anche lei? Il puzzle
cominciava a comporsi, Meg cercò di mettere ogni pezzo
al posto giusto. Ma di una cosa però era sicura, sua sorella
ignorava il fatto che lui ne fosse perdutamente innamorato. Così
decise per il momento di non chiederle niente riguardo Giorgio,
ma aveva la sensazione che la possibilità di avere un cognato
meraviglioso cominciasse a farsi reale.
"Ora vieni dentro Leonor, ti preparo del the con qualcosa
da mangiare, così ti riscaldi un po'. Non puoi stare a
digiuno per tutto il giorno, rischieresti d'ammalarti. Dai, entra!"
Meg gli prese la mano, aiutandola ad alzarsi. Ed insieme entrarono
in casa.Erano sedute in cucina, come ai vecchi tempi, nello stesso
modo di allora, una accanto all'altra. E cominciarono a parlare
alla solita maniera senza guardarsi.
"Scusa Meg, per non esserti venuta a prendere alla stazione,
mi dispiace di averti fatto aspettare tutto quel tempo e soprattutto
di averti fatto preoccupare. Sono stata una stupida ma ultimamente
mi capita spesso sai?"
"Non importa. Ti ho già perdonato. Sono troppo contenta
di vederti, mi sembra un sogno essere seduta qui accanto a te..
Tu e papà mi siete mancati tanto. E mi è mancato
soprattutto il tuo buonissimo the inglese."
Lo disse immergendo un biscotto nel the di Leonor.
"Ti ricordi sorellona da piccola lo facevo sempre e tu ti
arrabbiavi tantissimo e con un vocione mi dicevi: Meg una lady
non si comporta in maniera così maleducata! Ed io con aria
angelica ti rispondevo: ma io lo faccio perché ancora non
sono una lady, sono una bambina piccola. E allora tu alzavi gli
occhi al cielo esasperata e mi sorridevi."
Leonor le annuì con la testa ed immerse a sua volta un
biscotto nella tazza di Meg.
"Mi sono stufata di essere una Lady."
"Brava! Questo è parlare."
Risero entrambe, l'atmosfera in quel momento era serena, ma presto
intavolare l'argomento Giorgio sarebbe stato inevitabile. Ne erano
consapevoli, così cercavano il modo di prendere tempo.
"Come sta papà?"
"Adesso bene, ma se l'è vista davvero brutta. Se non
fosse stato per Giorgio."
Leonor si rese conto di aver pronunciato quel nome, quando ormai
era troppo tardi. Rimase in silenzio, lasciando il discorso a
metà. Meg intuendo il disagio di sua sorella cercò
di aiutarla riportando il discorso su suo padre.
"Non capisco come sia potuto succedere. Lui non ha mai sofferto
con il cuore."
Leonor la ringraziò mentalmente, per la sua delicatezza,
ma era cosciente che non avrebbero potuto continuare così
per molto tempo. Era inutile continuare a nascondere la testa
sotto la sabbia.
"Penso che la maggior parte della colpa sia mia."
"La tua?"
Leonor prese fiato e soprattutto coraggio, ed iniziò a
liberare il suo pesantissimo cuore.
"Sì! La sera prima ho avuto con lui un bruttissimo
litigio."
Meg l'interruppe spalancando gli occhi, con un espressione incredula.
"Tu hai litigato con papà? Non ci posso credere a
questo punto sono curiosa di sapere il motivo che ha causato questo
primo litigio tra te e papà."
Leonor girò la sedia mettendosi di fronte a Meg, rimase
per un attimo in silenzio non si sentiva pronta, ma non aveva
importanza ormai. Doveva confessarle la verità.